martedì 28 dicembre 2010
Di concetto e senza foto
E di solito girellando per la rete e soprattutto per i blog trovo sempre quello giusto per tutto.
Essendo stata incaricata di occuparmi degli antipasti natalizi ho cominciato come sempre accade in last minute e gira di qua e gira di là mi sono imbattuta nelle terrine.
E' una vita che mi voglio cimentare, complice anche l'ultimo sconsiderato acquisto targato Emile Henry viola fescion.
Leggendo a destra e a manca trovo che alla fine sulla terrina di carne i concetti fondamentali da non toccare siano soltanto 4, non di più.
1. L'impasto fatto con carne tagliata in piccoli pezzi in modo da essere consistente mista a carne tritata che possa fare da legante senza che la terrina assomigli ad un enorme polpettone
2. la marinatura della carne a tocchetti lunga e alcolica
3. L'uso di un grasso, quello che più vi piace e che aiuti a tenere il tutto morbido semplicemente foderando il recipiente
4. la cottura lenta in forno a bagno maria
ci sarebbe anche un quinto punto sempre nel caso della carne e sarebbe un buon macellaio disossatore io ho optato per il fai da te.
E via.
Aromi, spezie, frutta, tipo di alcool.
Fate voi, assolutamente fate voi.
Nel mio caso la combinata è stata faraona e salsiccia tritata al coltello, cognac, succo di arancia, scorza di arancia, pistacchi, cannella, erbe di provenza e marroni lessi.
Ho impastato tutte le carni con gli odori e le ho messe a marinare per una notte insieme ad un bicchiere di cognac, il succo di due arance.
I marroni non li ho aggiunti all'impasto ma lasciati da parte per il montaggio.
Ho poi foderato la terrina con guanciale a fettine sottili e steso il primo strato di impasto (che nel frattempo s'era bevuto sia il liquore che l'arancia) poi ho steso uno strato di marroni lessi e il secondo strato di carne.
a chiudere fettine di guanciale.
Ho incoperchiato e messo in forno a bagno maria per 1 ora e 1/2.
Da delirio di onnipotenza.
martedì 14 dicembre 2010
va susitivi che fu santa Lucia
mercoledì 8 dicembre 2010
il maiale e le mele ma anche l'arancia
Quest'anno è stato l'anno delle mele.
Due cassette di varietà sconosciute, piccole, brutte e buonissime.
La seconda cassetta conteneva delle mele piccole piccole bianche, delle dimensioni di una noce.
Complice una domenica in cui Giove Pluvio non s'è fatto i fatti suoi, ho imbastito un secondo con effetto magico non solo per la bontà della carne.
L'arista al latte ha incontrato questo contorno di mele e le bambine hanno subito l'eccitazione di vedere la padella delle mele infiammata, ah si il primo flambè non si scorda mai.
Per la ricetta dell'arista al latte mi sono riferita a quella di Jul's Kitchen apportando delle piccole modifiche nell'aromatizzare il pezzo.
giovedì 2 dicembre 2010
il cestino di cappuccetto rosso e le 3 M
Ovvero maiale, mirto e mele.
Come sempre ne penso anche mille ma riesco a farne appena mezza.
Sarà, ma questa cosa qui comincia a stufarmi un pò.
Ho letto tempo fa di questa iniziativa dell'araba felice e mi son detta che è da tanto tempo, troppo, che non partecipo ai contest.
Complice anche una lettura interessante al bagno di una vecchissima copia di sale e pepe con annessa ricetta che ha fatto da spunto, oltre ai commenti della gaia celiaca, mi son messa ai fornelli.
La ricetta data qualche mese fa, il risultato lo ricordo anche adesso e l'ho messa tra le cose da rifare.
Ero molto indecisa se far partecipare la mia ricetta alla sezione antipasti o secondi ma secondo me queste polpette versione finger son perfette in un aperitivo e quindi la mia scelta è proprio questa.
POLPETTE DI MAIALE MELE E MIRTO
domenica 21 novembre 2010
da colori a sapori
Femmina, si, molto.
E femmina in giro per il mondo vuol dire vetrine, negozi modaioli o no pur sempre negozi.
Femmina con un blog che (dovrebbe) parlare di cibo, accoppiata esplosiva.
A Sevilla ho avuto pane per i miei denti, la reflex ha lavorato e io mi son convinta che davvero il mondo è un posto fantastico.
E adesso la solita storia.
Arriviamo a Sevilla che è ora di pranzo, fame.
Il tempo di andare in albergo e subito via a cercare un posto dove mangiare.
Gira che ti rigira ci ritroviamo nel viale dell'Università, sole bellissimo e tanti ragazzi e tanti locali, di conseguenza.
Entriamo in quello che ci sembra più affollato e così ordiniamo 6 montaditos, gusti misti.
Convinti dalla fame nera che avremmo affrontato qualsiasi piatto ci hanno servito 6 panini 6 spalmati di salse ad accompagnare una mezza litrata di vino rosso annacquato con gazzosa, vino tinto e non mi ricordo cosa.
Esco viva dall'esperienza dei montaditos ma barcollo.
Una passeggiata in centro e mi accorgo che è pieno di posti dove mangiare dolci opulenti, file di jamon iberico, ad ogni angolo si può mangiare a prezzi irrisori, un'orgia di cibo impressionante che no, non ce la posso fare.
Mi chiedo come mai gli spagnoli non siano tutti obesi, la gente che gira per strada è abbastanza nella norma e mi rispondo dicendomi che alla fin fine ci si può saziare anche con gli occhi.
Mi rendo conto che con le dovute proporzioni anche in cucina gli spagnoli hanno lasciato il segno e aloro volta son stati segnati dagli arabi che magari....insomma sapete com'è.
Un segno inequivocabile è dato dallo street food: le caldarroste.
Vengono cotte su una specie di tubo di lamiera su cui è inserito uno scolapasta in modo che le caldarroste si possano cuocere affumicandosi coprendosi di una particolare coltre di cenere impalpabile e spruzzate di sale. Stesso dicasi per l'abitudine di mangiar carrube.
Spesso leggo della farina di carrube e mi vien da sorridere pensando a quante ne ho masticate da bambina cercando i bordi più morbidini e dolci.
Dei negozi del centro rimango impressionata, antichi con gli arredi antichi, farmacie dai banchi e dai profili lignei con gli antichi scaffali e gli antichi vasi.
Dovrei star zitta per non diventare pesante ma mi ritrovo a pensare ai negozi del centro di roma e mi prende male.
Gli intarsi su legno scuro si ritrovano spesso negli antichi mobili siciliani, sicuramente mio papà riconoscerà in alcuni particolari gli intarsi del comò della nonna.
In un certo senso mi sento a casa.
I ristoranti sono impressionanti, così i locali che servono tapas. Capita che in una stessa via magari ci siano 10 ristoranti, locali che scoppiano di gente accanto a locali completamente vuoti.
In ogni caso la prima sera siamo andati alla cena sociale del corso, ossignore, mai mangiato così male il ristorante si chiama el espigon e fate in modo di non cascarci.
E invece alla plaza de santa marta, al bar santa marta ci siamo seduti e coccolate con tortillas e croquetas insieme ad un buon vino tinto.
Le immagini in collage vengono da un ristorante che si chiama Paladar, vicino alameda de hercules, che meraviglia!!! e ci siamo alzate sazie ma davvero sazie per la modica cifra di 12 euro.
ditemi voi se questa non è vita :)
Ovviamente il bar Marta e il ristorante di Tapas Paladar non ci son stati consigliati dai colleghi corsisti ma dai due ricercatori italiani incontrati il primo giorno, ovviamente.
Volete sapere di più su Siviglia? volete sapere cos'è la turta de aceite o la tostada con jamon o la ferreteria? allora aggiungete ai miei 3 post i 3 post di Comida de Mama e avrete il quadro completo.
Antica Papeleria
è o non è il paradiso del food blogger?
Caldarroste e caldarrostaro, uno più tipico dell'altro
Non solo Halloween, per fortuna
domenica 14 novembre 2010
colori
Incontriamo Noemi e Andrea in un bar vicino l'università.
Lei calabrese, dottorato di ricerca in storia dell'arte all'università di Siviglia, lui idem ma in geografia.
Chiediamo loro dove andare a mangiare, quali sono i posti giusti e subito si accende una discussione la gambas blanca a Triana esclama Noemi e Andrea...ma Triana è un quartiere da vedere accompagnati da qualcuno che lo conosca per ptoere apprezzarne l'atmosfera!
Meglio il centro storico.
Alla discussione si associano il barista e un signore e ne esce una mezza baruffa a colpi di risate in uno spagnolo a raffica di cui capisco una parola si e una no.
Il nome attira.
E attira ancora di più dopo la discussione con il tassista che ci parla del mercado de Triana.
Deciso, nella mezza mattinata che abbiamo libera ci si infila in taxi e si va.
Il quartiere di Triana è un pò come piazza Vittorio o San Lorenzo a Roma apparentemente non atraente almeno dal punto di vista turistico ma pieno di vita vera con la gente indaffarata, con le botteghe, le vetrine antiche e la sensazione che questa sia la vera Siviglia, quella di tutti i giorni e anche se non in ghingheri vi si respira un'aria autentica e bella lo stesso.
Il mercato di Triana un pò delude piccolissimo ma è curioso vedere che le mele cotogne si chiamano cuernodecabra o che lo squalo gattuccio o la verdesca lo chiamano cazòn e in sicilia inatti si chiama cazzone.
Mi piacciono le espressioni della gente, la gestualità mentre ci aggiriamo tra i banchi.
Le sacche di uova di pesce mi intrigano tantissimo.
Una signora ci rimprovera perchè tentiamo di capire perchè il tomillo ha i fiori blu e che cos'è la manzanilla gialla.
Ci dice che se tutti toccassero le erbe lei si ritroverebbe con i rametti e niente più.
Un pò mi vergogno e un pò mi fa sorridere con i suoi modi da popolana e le mani sui fianchi.
Uscite ci accorgiamo del bellissimo ponte e del tempietto alla base, dello spettacolo del fiume e del panorama.
Scendendo per le scale del mercato non poteva mancare Calle de la Inquisicion il che ci da quel tocco di inquietudine, pari solo ai ghirigori del barocco.
Ma intorno si aprono le botteghe della ceramica con i motivi a metà tra l'arabo e l'ebraico un fusion che produce colore, ricercatezza, verticali decorative e geometrie ripetute in tutte le declinazioni del blu o del rosso o del giallo.
E i decori si ripetono nei vasi alle finestre, nelle cornici dei balconi, nei portali.
Pezzetti di Siviglia che, facendo un rapido calcolo approssimativo, ci vorrebbe una settimana per ptoer dire di conoscerla almeno per sommi capi e noi avevamo a disposizione soltanto 24 ore e anche scarse.
Impressioni.
venerdì 5 novembre 2010
Sevilla, Espana
Come si vive qui?
La solita domanda che mi faccio tutte le volte che visito una città nuova.
Mi piacerebbe viverci? La risposta con Siviglia è stata immediata e diretta.
Si, mi piacerebbe.
L'impatto con Siviglia è impressionante, sembra il posto ideale. Sospesa tra nuovo e antico, un occhio al futuro e i piedi affondati nelle radici del passato.
Una città dai diversi stili fusi ed integrati tra loro, l'impressionante Alcazar, costruzione moresca fortificata al cui fianco svetta una delle cattedrali gotiche più belle che io abbia mai visto.
La passeggiata per le vie del centro un susseguirsi di negozi antichi i cui arredi non sono stati smantellati in favore del moderno.
Una cosa che ha dell'incredibile visto lo stato di abbandono in cui versa il centro storico di Roma, non ci siamo abituati.
Le farmacie antiche del centro ci fan fare un salto indietro di almeno 150 anni, tra palazzi di diversi stili: moresco, barocco, liberty senza per questo mai stonare, mai disturbare, si susseguono colorati di azulejos o decorati dai riccioluti stucchi barocchi mentre eteree signorine occhieggiano dai mosaici dorati delle facciate liberty senza per questo avere il senso dell'eccesso o del cacofonico.
Quello che colpisce in una città come questa che non è proprio piccolissima (conta 700000 abitanti e non è poco) è che la periferia è molto più piccola del centro storico.
La gente il centro lo vive e lo abita e se lo può permettere perchè, pur essendo un enorme isola pedonale, è organizzatissimo, tram e stazioni di bike sharing ad ogni angolo senza contare l'abbordabilità dei prezzi degli affitti e del vivere in generale.
Una città pulita inoltre e non solo nelle facciate delle case, brillanti e dai colori vividi senza patina di smog, ma anche attenta: gli autobus (che passano davvero con una frequenza impressionante) vanno a gas compatto ecocompatibile pur essendo arrivate in un orario di punta non abbiamo avuto la sensazione di una città congestionata dal traffico.
L'università e il suo viale sembrano tranquille, frotte di ragazzi, locali in piena isola pedonale non c'è traffico e non si rischia di venire arrotati ogni 10 metri.
In uno di questi bar universitari incontriamo Noemi e Andrea, lei calabrese lui di milano.
Parliamo e ridiamo, stanno facendo il dottorato di ricerca, abitano a Siviglia da 3 anni e forse avranno anche una prospettiva di lavoro.
Di certo c'è che riescono a vivere bene, non navigano nell'oro, ma sono contentissimi lo stesso almeno fanno quel che gli piace e ci dicono tranquillamente che questo è un posto dove la meritocrazia conta.
Ci segnano i posti dove andare a mangiare senza cascare dentro le TPT (trappole per turisti) e conserviamo la cartina come una reliquia.
Se qualcuno avesse bisogno di un paio di indirizzi utili basta dirlo.
In un bar (ecco l'unica pecca che ho trovato, si fuma, bleah) sento una ragazza strafaiga dire con fare scocciato "quiero un caffè muy muy muy muy corto!!!" italiana penso e allo stesso tempo penso...battaglia persa.
Ecco, gli spagnoli il caffè proprio non lo sanno fare anche se hanno la macchina per l'espresso così come non c'è verso di trovare chi parla inglese, niente da fare, nemmeno nei negozi per fighetti meno male che l'italiano è abbastanza simile.
Insomma torniamo alla ragazza.
Ci fermiamo a parlare, ha un fidanzato napoletano, vivono qui e ci dicono che in questo momento non ci pensano proprio a tornare in Italia.
Non so, mi sembra di capirla.
Di Siviglia so poco, so che hanno un ospedale universitario all'avanguardia ad esempio.
So che se la prima impressione è quella che conta e se il mio ideale di città è una città fruibile in tutti i suoi aspetti allora si, abiterei a Siviglia.
Cosa si fa poi il primo giorno in una città sconosciuta?
Si gira con il naso per aria e la mente svagata.
Vi lascio alcune immagini del nostro giro.